Come nel post precedente siamo andati a ricercare la presenza dell'azione "forgiare" nelle opere letterarie. In questo post analizzeremo la sua presenza all'interno di quelle poetiche.
A seguire sono presenti due poesie in cui non è tanto evidente il verbo/azione, quanto la sua centralità nell'opera stessa. In particolare la prima poesia è legata all'atto pratico della fabbricazione di utensili mentre la seconda si sofferma più sul significato metaforico della parola.
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IL LAVORO
Nuda la fronte, le braccia nude,
desto col primi raggi del di,
batto il metallo sopra l'incude
poi che la fiamma lo rammolli.
Questa mia vita dura a vederla
forza mi accresce, mi da placer;
questo sudore che il crin mi imperla
è la corona del buon atelier.
Picchia, o martello, squilla sonoro!
Viva l'Italia viva il lavoro!
Amo la pace, più che la guerra,
che gioia ai popoli promette invan:
Foggio l'aratro ch'apre la terra
onde la gente s'abbia il suo pan.
Picchia, martello, squilla sonoro!
Viva l'Italia! Viva il lavoro!
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FORGIATURA
Come un cieco le cui presaghe mani
scostano muri e intravedono cieli,
lento e insicuro
lungo le notti lacerate
tasto i versi che verranno.
Dovrò bruciare l'ombra detestata
nel loro fuoco limpido:
porpora di parole sulla spalla flagellata del tempo.
Dovrò racchiudere il pianto delle sere
nel duro diamante della poesia.
Non importa che l'anima
proceda sola e nuda come il vento
se l'universo di un glorioso bacio
include ancora la mia vita.
Per seminare versi
è terra fertile la notte.
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